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Il Viaggio di Almagores
il più antico club velico del Mediterraneo

il più antico club velico del Mediterraneo Il Viaggio di Almagores

Il Viaggio di Almagores

Il Viaggio di Almagores

19 aprile 2020

Il viaggio inizia tanti anni fa con Almagores, ultima barca a essere costruita dai gloriosi cantieri del rione Scogli di Chiavari, era il 1981.

Come sappiamo è stata una barca di successo e l’ultima barca a vela della famiglia Borromeo.

Giberto Borromeo nel 2012 all’età di 78 anni vuole fare un regalo ai suoi famigliari e a sé stesso, ordinando in Sud Africa il bellissimo SWS102 Almagores II.

Pur essendo una barca più da crociera che da regata il sogno nel cassetto – e non solo nel suo cassetto  - è di partecipare alla regata Cape2Rio.

Nel 2016 partecipiamo alla ARC dalle Canarie a St.Lucia, stiamo già facendo le prove; nel 2018 Federico Borromeo decide che è ora che il sogno di suo papà e del suo carissimo amico Ilario Boniello diventi realtà. Così iniziamo a preparare la barca e la logistica per essere pronti: l’appuntamento è a Città del Capo per l’11 gennaio 2020 per la partenza della gloriosa Cape to Rio.

I preparativi

Insieme alla proprietà ci siamo dati dei target per organizzare la stagione:

L’approccio alla regata doveva essere tranquillo, non da America’s Cup per intendersi;

La sicurezza delle persone e della barca prima di tutto;

Trasferire Almagores per tempo e in sicurezza;

Poter utilizzare la barca ai fini crocieristici una volta finita la regata;

Raggiungerei i Caraibi per crociera di Pasqua;

Effettuare il rientro aspettando maggio 2020 per la attraversata di ritorno.

La preparazione della barca è iniziata già alla fine dell’estate del 2018, prima di raggiungere il cantiere avevamo già in mente tutta l’impiantistica che avremmo dovuto revisionare, la sicurezza da mettere in ordine ed eventuali lavori extra, nonché l’ordinazione della randa di cappa e della tormentina nuovi. Così durante l’inverno del 2019 abbiamo messo appunto la barca, pronti ad affrontare la stagione estiva 2019 in mediterraneo in tranquillità essendo noi già pronti a partire appena l’autunno ci avesse lasciato raggiungere Gibilterra.

Gli Equipaggi su Almagores sono cambiati più volte, fermo restando il nocciolo duro (Mario Marengo, Nicole Moretti, Francesco) avevamo a disposizione un ventaglio di persone tra amici e marinai del Tigullio disposti a raggiungerci per darci una mano, anche su questo con l’armatore eravamo d’accordo: oltre ai professionisti, a bordo volevamo anche amici e appassionati del mare. Quando si effettuano navigazioni così lunghe certi aspetti sono fondamentali.

La partenza

Così il 3 ottobre 2019 si parte da Lavagna destinazione Gibilterra, sarebbe stato il meteo a ‘suggerirci’ dove avremmo potuto fermarci.

Equipaggio alla partenza: Mario Marengo, Nicole Moretti, Massimo Muti, Simone, Giuseppe, Glenn Edwards, Jack Evans (autore delle bellissime foto), Francesco e Roby. Il tempo è da subito bellissimo, già da metà del golfo ligure tiriamo su randa con una mano di terzaroli e trinchetta con vento al traverso e si vola verso Barcellona, una passeggiata nella splendida città e una mangiata nei vicoli e poi si riparte, prossima fermata Porto Banus.

Qui c’è un’ottima marina ma il posto è alquanto strano, è di lusso come Saint-Tropez ma non è così affascinante, le spiagge intorno sono però bellissime e ben tenute.

Ci fermiamo qualche giorno, sembra estate, siamo alle porte di Gibilterra e dobbiamo aspettare che anche fuori dallo stretto il meteo sia favorevole per uscire dal Mediterraneo, nel frattempo ci raggiunge il nostro amico Chicco. Il 10 ottobre salpiamo per l’oceano. Il vento è tutto a favore e si veleggia che è una bellezza, l’ultimo giorno prima delle Canarie il vento è troppo leggero e accendiamo il motore, ma ci accorgiamo immediatamente che qualcosa non va: il giunto omocinetico dell’asse emette un rumore sinistro, decidiamo di continuare a vela anche con un po’ di gennaker e risparmiare il motore per la sola manovra in porto.

È il 15 ottobre quando arriviamo a Santa Cruz de Tenerife dopo 12 giorni di navigazione, con l’evento della ARC non è neppure pensabile arrivare a Las Palmas, tutto pieno. Meglio così perché a Tenerife, per aspettare il giunto nuovo dall’Italia dobbiamo starci più di 2 settimane, ma ne approfittiamo per scoprire una città bellissima. La lunga sosta ci va molto bene anche perché non possiamo affrontare il sud Atlantico troppo presto, dobbiamo aspettare che smaltisca l’inverno appena trascorso. A Tenerife intanto tornano a casa Roby, Chicco e Massimo e arrivano rinforzi composti da Pietro, Ruggero e Giorgio. Appena arriva il giunto nuovo, non senza gli immancabili problemi di sdoganamento, Mario lo installa, il meteo è favorevole e voliamo verso Capo Verde con vento in poppa; ci piace andare sempre di conserva rimanendo ampliamente dentro i margini di sicurezza giorno e notte quindi una mano alla randa di giorno e due di notte, ma siamo lo stesso velocissimi e dopo pochi giorni arriviamo a Mindelo, la città ‘portuale’ di Capo Verde. Non ci aspettavamo niente di particolare da Capo Verde e invece siamo rimasti piacevolmente sorpresi dall’accoglienza: una marina piccola, ma confortevole, una bellissima spiaggia attaccata al paese e qualche ristorantino incantevole in centro. Qui incontriamo e ‘ospitiamo’ Matteo Sericano con il suo 888, riparato sull’isola a causa di un’avaria durante la Mini Transat.

Da Capo Verde si inizia a fare sul serio, il salto fino al Sud Africa può essere molto lungo, è uno dei tratti che – fin dall’inizio - ci impensieriva di più: ci sono le coste dell’Africa verso levante che è meglio non costeggiare, ancora troppi attacchi di pirati nel Golfo di Guinea e due isolette a sud: Ascension e Sant’Elena, ma come al solito sarà il meteo a decidere la rotta da seguire. La nostra speranza è che l’anticiclone di Sant’Elena sia a latitudini medie - il più a levante possibile - in modo da fare rotta verso Sud/Sud-Ovest e prendere il semicerchio buono, quello che ci spingerà e man mano a deviare sempre più verso Sud/Sud-Est. Questo si verificherà, ma non prima di faticare non poco per arrivare all’isola di Ascension! Una volta partiti da Capo Verde fino alle calme equatoriali va tutto bene, ma dopo aver ‘smotorato’ nella zona di convergenza tra i temporali le cose cambiano: vento intenso proprio sul naso. Ascension Island però è proprio lì davanti a una distanza ragionevole. Non ce la sentiamo né di spingerci verso Est sulle coste africane, né verso Ovest lontani dall’unica isola dove fare rifornimento, così abbiamo puntato su Ascension Island nonostante vento e mare di prua, ma decidendo di accendere il motore per 48 ore e navigare contro mare alla fantastica velocità di 4,5 nodi, un autentico calvario. Nel mentre abbiamo chiesto i permessi per approdare sull’isola in quanto è un posto un po’ particolare. L’isola è britannica, anche se ospita una base militare americana; nessuno è indigeno dell’isola, ma sono per lo più lavoratori a contratto di mesi o anni provenienti principalmente dall’isola di Sant’Elena o dal Sud Africa, hanno un aeroporto (inagibile e tale sarebbe rimasto per almeno 6 mesi).

L’unico rifornimento arrivava con una nave una volta al mese. Per fortuna, dopo averci fatto aspettare 3 giorni ci hanno rifornito di gasolio tramite una chiatta. In questi 3 giorni i ragazzi di bordo hanno fatto i turisti e hanno scoperto una collina verdissima sulla cui sommità ci sono tantissimi granchi. Questi granchi un giorno all’anno scendono in migliaia fino al mare per depositare le uova, e poi risalgono in cima alla collina dove vivono!

Davanti a noi una spiaggia dove nidificano enormi tartarughe e in mare una quantità di pesci impressionante, squali inclusi, che rendeva il semplice andare a terra con il tender, un’esperienza inquietante.

Da Ascension a Cape Town è andata molto bene, pensavamo di dover andare molto più a Ovest/Sud-Ovest per aggirare l’anticiclone, invece siamo andati da subito verso Sud e poi Sud/Est. Verso la metà del viaggio, dovendo utilizzare il motore per superare il centro dell’anticiclone, abbiamo avuto un guasto allo scambiatore di calore dell’invertitore per cui abbiamo proseguito a vela fino dentro il porto di Cape Town. Qui, solo grazie a un espediente di Mario, abbiamo avuto l’aiuto del motore per la manovra fino all’ormeggio.

Tornare a Cape Town è stato emozionante, insieme a Federico eravamo partiti da lì 7 anni prima diretti in Italia. Avevo un ricordo molto bello della città e della sua gente e difatti l’arrivo è stato particolarmente felice, il cantiere e lo yacht club ci hanno organizzato un welcome party con i fiocchi. Non smetteremo mai di ringraziarli!

In Cantiere è cambiato molto dall’ultima volta, ma sono sempre molto bravi e nonostante la chiusura per le festività di Natale imminenti, riescono ad organizzarci tutta l’assistenza necessaria per rimettere Almagores al 100%. Ritroviamo ovviamente molti amici Italiani che fanno parte del cantiere, a maggior ragione proprio perché molti di loro sono di Genova! Non possiamo non provare anche una punta di malinconia, lo mancanza dell’ingegner Persico, che il cantiere lo aveva fondato anni fa, si fa sentire eccome.

Lo yacht club invece non lo conoscevamo ed è stata una felice sorpresa, un posto oltre che bello ed elegante, molto vivace e pieno di attività, con una atmosfera informale: il pomeriggio e la sera molti armatori, marinai e tecnici si godono insieme qualche drink in veranda.

Noi eravamo ormeggiati lungo il Waterfront per via del nostro pescaggio (un po’ come essere a Genova a molo vecchio). A Città del Capo ci salutano i nostri amici dell’equipaggio di trasferimento e io torno un pochino a casa.

I primi di gennaio 2020 Almagores è nuovamente pronta. Inizia ad arrivare l’equipaggio che farà la regata, tranne Glenn e suo nipote Jack che sono miei amici australiani, gli altri sono tutti liguri, compreso l’armatore che tra Portofino e lo YCI ormai è ligure a tutti gli effetti. Prima della partenza facciamo tre giornate di uscite: non sono propriamente degli allenamenti, ma ci servono per prendere confidenza con le manovre e fra di noi, vogliamo curare soprattutto la parte di sicurezza e il gruppo, quindi facciamo anche briefing e prove antincendio, recupero di uomo a mare, abbandono nave ecc.

La Cape to Rio

Per la partenza della regata sono molto più tranquillo, soprattutto rispetto ai trasferimenti che abbiamo fatto per arrivare e quelli che ci aspetteranno. Il livello dell’equipaggio ora è più elevato, la regata la gestirà Andrea Henriquet e la rotta meteo il giorno della partenza, porterà inevitabilmente tutte le barche verso Nord Ovest e verso il bel tempo. Perfetto!

Come Comandante mi posso rilassare e mi godo la regata da marinaio, ovviamente Mario ed io sempre attenti affinché l’impiantistica sia sempre efficiente, ma a parte un paio di giorni burrascosi sul finire, mi sono goduto appieno i 17 giorni di regata. Ma siccome l’appetito vien mangiando, (eravamo partiti con poche aspettative sportive) dopo la partenza ci siamo resi conto che potevamo fare bene e, nonostante il meteo non proprio compatibile con le nostre polari, abbiamo disputato un’ottima regata.

Lo Yacht Club di Rio è ancora più bello di quello di Capetown, è immenso e stupendo, con due hangar enormi solamente per ospitare le derive!

Noi andiamo ad attraccare a Marina Gloria (i nostri 4 metri di pescaggio non ci consentono di stare allo Yacht). Finiti i giorni dei festeggiamenti rimane solamente l’equipaggio fisso a bordo, ma sistemare la barca non è altrettanto facile come in Sud Africa, non ci sono le stesse competenze, scopriamo che in Brasile si fermano alle derive o poco più in là.

La costa del Brasile è lunga e dobbiamo risalire per arrivare ai Caraibi. Trascorse 2 settimane a Rio si riparte: aspettiamo che l’anticiclone sia ben esteso in Sud Atlantico e bene a Est. Il programma si rivela perfetto e risaliamo fino a Salvador de Bahia con il vento sempre al traverso. In pochi giorni arriviamo, giusto in tempo per goderci qualche giorno di carnevale

Per fortuna a Salvador troviamo Dominic che gestisce una piccola marina, ma riesce a inventarsi in maniera rocambolesca un ormeggio in sicurezza per Almagores.

Ci accorgiamo che quella di Rio non era una eccezione, le marine in sud America infatti per utilizzare un termine genovese, fanno "anguscia".

La mancanza di posti dove approdare prima di arrivare ai Caraibi ci preoccupa un po’, ma per fortuna il meteo sarà sempre favorevole e dopo esserci riforniti a Cabedelo, usciamo formalmente dal Brasile e con alisei di Nord/Est al traverso e corrente - finalmente a favore - voliamo a 12/13 nodi fino alla Cayenne, le isole di Papillon... bellissime e, soprattutto, le uniche dove ci possiamo fermare per riposare. Il tempo di una notte e poi via con la prua su Tobago.

Navigare ai tempi del virus

Del coronavirus si sapeva già, ma ora iniziano ad arrivare le prime notizie drammatiche dall’Italia. Una volta approdati ai Caraibi ci accorgiamo che qualcosa è cambiato anche nelle marine e negli uffici delle autorità di controllo, c’è molto nervosismo e molta diffidenza specie con noi che siamo Italiani, e poco importa se l’Italia non la vediamo da mesi. Ci rendiamo anche immediatamente conto che nessun ospite ci avrebbe raggiunto dall’Italia.

La situazione cambia rapidamente di giorno in giorno, dalla sera alla mattina, addirittura di ora in ora. Da quando siamo arrivati ai Caraibi inizia per noi un periodo di autoreclusione. Non si capisce se il virus sia già arrivato anche qui, ma vista la situazione è meglio fare scorte, riempire la cambusa e rimanere a bordo, scelta che si rivelerà azzeccata da lì a qualche giorno. L’altro grande problema rimane dove fare il pieno di gasolio.

Quindi molliamo gli ormeggi da Grenada e ci dirigiamo a St. Lucia dove ci ormeggiamo e facciamo il pieno di nafta, appena in tempo perché le frontiere via mare si stanno chiudendo un po’ dappertutto e iniziano gli assalti ai supermercati, ma non è come in Europa, una volta che gli scaffali sono vuoti, rimangono vuoti!

E gli ospedali? Qui se arriva il virus... è meglio scappare, ma il virus è già arrivato e neanche lo sanno perché non esistono i tamponi e tutti i dati ufficiali sono inattendibili. In questo contesto, continua la nostra quarantena volontaria a bordo nel Marina di Rodney Bay. Per il momento siamo abbastanza tranquilli, la cambusa è piena come le casse del gasolio. C’è ormai la consapevolezza che se molliamo gli ormeggi da qui non potremmo entrare più in nessuna altra Isola, hanno chiuso tutti i marina, ma non ci sentiamo di affrontare l’emergenza virus qui. A bordo stiamo tutti bene, cerchiamo di rimanerlo e anche se è ancora presto dal punto di vista meteorologico, valutiamo seriamente di affrontare la traversata di ritorno il prima possibile. Il problema è l’equipaggio, i nostri amici Glenn e Jack sono rientrati in Australia richiamati dai loro governanti e rinforzi dall’Italia non ne possono arrivare, rimane Mario, Nicole, Massimo e il sottoscritto. Un po’ pochini. Decidiamo di chiedere aiuto a due ragazzi francesi (a cui avevamo dato un passaggio fino ai Caraibi e anche loro in difficoltà per tornare a casa). Non dei marinai esperti, ma sempre un aiuto in più. Fortunatamente ci sono due danesi che si propongono per aiutarci, sono rimasti senza barca in quanto hanno avuto un guasto all’albero e sono disponibili a fare la traversata con noi, sembrano dei tipi a posto e completiamo così l’equipaggio di rientro.

Il rientro a Portofino

Il 23 di marzo, vista una finestra meteo favorevole, decidiamo di partire. Subito risaliamo i Caraibi con rotta quasi obbligata verso Antigua e poi, non senza preoccupazioni, il grande salto.

Da subito decidiamo di tenerci bassi, la rotta ‘alta’ per le Bermuda e le Azzorre è un azzardo in questo periodo, troppo presto. Le basse pressioni del Nord Atlantico sono ancora basse. Ci convinciamo che la rotta migliore è verso Madeira e, se il brutto tempo dovesse scendere ancora, potremmo puntare addirittura verso le Canarie.

La navigazione procede bene, i primi 3/4 giorni boliniamo l’aliseo su onda lunga. Una meraviglia. Poi il vento inizia a girare da NW e l’onda è molto antipatica. In poche parole: il resto della traversata lo facciamo aiutati dalle code delle varie depressioni che passano ben più alte della nostra latitudine; queste ci spingono verso Est grazie ai venti portanti da Ovest. Non proprio una passeggiata, perché comunque le onde ci sbattono come in una lavatrice e i fronti si susseguono uno dopo l’altro. Ma non sono mai onde e venti da destare preoccupazione: in tutta la traversata non incontriamo mai più di 5 metri di onda e mai raffiche superiori a 38 nodi. Con il meteo favorevole, però, la preoccupazione diventa un’altra. Dove avremmo potuto atterrare in caso di necessità? In caso di "estrema" necessità gli Stati (le Isole) sono obbligati a darti assistenza tecnica, ma se ti devi riparare per rifiatare un attimo anche solo in rada... non se ne parla nemmeno!

E allora che proseguiamo verso Gibilterra con la benedizione del meteo, e così è stato. Siamo stati veloci e fortunati ad anticipare l’ingresso nello stretto e nel mare di Alboran, dove avevamo visto in arrivo una brutta perturbazione. Prima delle Baleari, il tempo era buono e calmo così abbiamo acceso un po’ il motore. Il Mediterraneo ci ha regalato uno splendido tonno che grazie a Mario siamo riusciti a pescare in un’ora o poco più, sarà stato 60 chili, senza il suo aiuto sarebbe morto di vecchiaia.

Intanto le temperature, che già da prima di Gibilterra si erano abbassate parecchio, hanno reso le guardie notturne sempre più impegnative, causa anche una pioggerellina costante che ci ha accompagnato fino al confine con le acque territoriali.

Abbiamo attraversato le acque del Golfo del Leone con scirocco fresco che ci ha permesso di fare vela con buona velocità.

L’arrivo

Già da tempo avevamo iniziato uno scambio di mail con le autorità Italiane e liguri per riuscire ad approdare a Portofino senza troppi problemi. Direi che la situazione è stata gestita al meglio: al nostro arrivo, infatti, gli stranieri sono riusciti a raggiungere l’aeroporto di Malpensa in sicurezza per fare rientro a casa dove avrebbero scontato la quarantena. L’arrivo a Portofino è stato un momento molto toccante: prima di entrare nella baia per recarci al nostro gavitello, abbiamo voluto fare il saluto alla bandiera a S.Giorgio sotto la Chiesa e da terra i portofinesi ci hanno omaggiato a loro volta, issando il guidone del Santo.

L’accoglienza da parte delle forze dell’ordine di Carabinieri e Guardia Costiera è stata cordiale e attenta a soddisfare tutte le procedure del caso. Una volta espletate siamo stati liberi di raggiunge le nostre abitazioni per il periodo di quarantena, l’unico è Mario, immolato per la causa e che sta trascorrendo il periodo di isolamento a bordo.

Per inciso più sani di noi che ne venivamo da 23 giorni di navigazione in mezzo all’oceano non penso ci sia nessun’altro. Ma se bisogna soddisfare le leggi... che sia.

È stato triste vedere che a Portofino l’unica barca oltre i pescherecci ormeggiati alla "ciappella" è Almagores II, toccare con mano ciò che da tempo leggevamo per e-mail, dell’isolamento, le strade deserte, l’impossibilità di fermarsi a chiacchierare con amici. Surreale, soprattutto per noi che avevamo vissuto ‘in una bolla’ per così tanti mesi.

Speriamo che il nostro arrivo nel borgo sia di buon auspicio e presto possano tornare anche gli altri marinai con le loro barche; a fare compagnia ai portofinesi, ad Almagores e poter presto issare le vele al largo del golfo.

 

Francesco Donati



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